Gentili visitatori,
siamo un gruppo di
archeologi professionisti, che operano sul campo da molti anni, chi
nei cantieri, chi nei musei e nelle università, sia in Italia che
all’estero: ci siamo uniti perché vogliamo far conoscere
all’opinione pubblica il contenuto di una lettera importante
scritta dal Dr. Henry Walton Jr. Jones, archeologo e docente
universitario di fama mondiale .
Questa lettera, molto
sofferta, è un appello accorato che vuole sollevare il problema
della tutela dei Beni Culturali e in particolare dei Beni
Archeologici in Italia: il suo contenuto costituisce il testo
fondativo di un movimento “Salviamo l'Archeologia”, che vuole
essere aperto al contributo di tutti.
Vi preghiamo oltre che di
leggere questa lettera, di pubblicarla online sul vostro sito e di
diffonderla il più possibile.
Cordialmente,
Comitato promotore
“Salviamo l’Archeologia”
Qui di seguito la lettera
Al Presidente della
Repubblica,
ai politici in Parlamento e
al Governo,
ai funzionari di Stato
delle Soprintendenze
e, infine, a tutti i
cittadini
di questo meraviglioso
paese che è l'Italia
Mi chiamo Herny Walton Jr. Jones, sono un archeologo e sono stato per decenni professore di archeologia presso diverse Università degli Stati Uniti e dell'Europa1.
Io ormai sono molto,
molto vecchio, ho più di cento anni, sarà forse grazie all'elisir
di lunga vita che da giovane ho bevuto direttamente dalla coppa del
Santo Graal: posso dirvi che ho visto e scoperto cose meravigliose e
che il mio mestiere ha conosciuto enormi cambiamenti dagli anni '30
del secolo scorso a oggi, ma con tutti gli errori e i difetti, è
stato sempre esercitato nel rispetto e nell'amore per l'Archeologia
in ogni parte del pianeta.
Oggi, però, la
situazione in Italia è diventata così disastrosa, che non mi sono
sentito di tacere oltre: sarebbe troppo lungo e noioso scrivere
un'analisi dettagliata della situazione, preferisco porre a tutti voi
alcune domande, per la precisione dieci.
Se si rispondesse con
chiarezza e determinazione a ognuno di questi dieci quesiti, si
riuscirebbe di sicuro a fermare il disastro e lo scempio che stanno
erodendo quotidianamente le più grandi meraviglie e ricchezze del
vostro paese.
1) Come può lo Stato
Italiano pretendere di tutelare i Beni Culturali, sia Archeologici
che Architettonici e Artistici, se non tutela i lavoratori, in
particolare archeologi e restauratori, con un contratto nazionale
collettivo che deve valere per tutte le ditte, vietando finti
subappalti con P.IVA precarie, finti contratti a progetto, finte
prestazioni occasionali? Come si fa a pretendere che da soli gli
ispettori della Soprintendenza tutelino territori vastissimi senza il
supporto di un corpo esperto di lavoratori professionisti, preparati,
formati, e, ribadisco, tutelati nei contratti?
Se non si tutelano i
lavoratori dei Beni Culturali, come si fa per esempio con gli
insegnanti e i medici (tra l'altro ultimamente non se la passano
tanto bene neanche loro), non si possono poi piangere lacrime di
coccodrillo quando crolla un muro a Pompei o quando un sito gioiello
come l’abitato dell’età del bronzo di Nola in Campania finisce
sotto l’acqua… per sempre.
2) Considerato che lo
scavo archeologico è distruttivo e irripetibile, come è possibile
che molte ditte archeologiche, soprattutto al Centro e al Sud
d’Italia, affidino il lavoro concreto dello scavo a operai, pochi
dei quali si possono veramente definire specializzati, accanto a un
numero esiguo di archeologi che stanno a guardare e documentano?
È solo scavando
direttamente che ci si rende conto di tutte le caratteristiche della
stratigrafia. Nelle ditte più serie, attive soprattutto al Centro e
al Nord d'Italia, lavorano solo archeologi assistiti da pochissimi
operai e così accade in tutti gli altri paesi europei.
L’archeologo è come un
medico chirurgo: chi accetterebbe di farsi operare da un infermiere,
seppur bravo, anziché da un medico? Ora, io sono molto vecchio, ma
nella mia vita lavorativa sono sempre stato sempre in prima linea e,
quando c’erano degli operai, io lavoravo con loro e più di loro. È
così che ho trovato e messo in luce, per esempio, il sito noto come
“il Pozzo delle anime” dov'era custodita l'Arca dell'Alleanza.
(da I predatori
dell'arca perduta)
L’operaio può aiutare,
come appunto fa un infermiere accanto al chirurgo, ma non può
sostituire l’archeologo. Addirittura accade che in alcuni
bellissimi siti archeologici la riserva di manodopera sia costituita
da appassionati volontari: il volontariato è sicuramente importante,
specie per la valorizzazione locale dei Beni Archeologici, ma va
ribadito che non può sostituire il lavoro dei professionisti.
3) A fronte dell’impegno
di tantissimi colleghi che mettono una passione incredibile nella
tutela dei Beni Culturali, come si può tollerare che i Musei
Archeologici siano sottodimensionati, spesso con un solo Direttore, a
volte sottoposto anch’esso a contratti precari, e con una rete di
collaboratori esperti, che, però, lavorano come semivolontari,
pagati come guide a ore?
L’attività di
promozione didattica e di valorizzazione richiederebbe personale
specializzato: è stato già più volte dimostrato da diversi
istituti e enti di ricerca che investire correttamente nei Beni
Culturali crea a breve e medio termine un circolo economico virtuoso.
Pensate a cosa potrebbe significare la realizzazione di una
collaborazione organica e continuativa tra i Musei da un lato e
dall'altro le scuole di tutti gli ordini, le università, le
compagnie teatrali, le associazioni culturali, le agenzie turistiche,
gli enti locali, ecc.
4) Se le prime tre
domande riguardano il mondo del lavoro, non si può tralasciare il
mondo universitario (anche se qui di lavoro ce n’è poco). Ma come
è possibile che, a fronte soltanto di pochi professori e pochi
collaboratori universitari con una lunga esperienza di indagini
archeologiche sul campo, vengano affidate dallo Stato concessioni di
scavo a équipes universitarie che scavano mediamente 1 o 2
mesi all'anno (compresa la settimana per aprire il cantiere e
l'ultima per chiuderla)? Che tipo di competenza scientifica
nell'ambito dello scavo stratigrafico hanno queste persone? Perché
non si obbligano le Università ad avvalersi delle competenze
scientifiche di chi sullo scavo opera in prima linea, 365 giorni
all'anno?
A questo proposito, una
volta mi è capitato di rispondere così alla domanda di uno studente
che mi chiedeva (in un momento un po' inopportuno visto che mi stavo
alzando da terra dopo un folle inseguimento in moto nell'Università)
un parere in merito a un saggio sull'etica ambientale:
“Leggiti Gordon
Childe sul diffusionismo. Ha trascorso tutta la vita sul campo. E se
vuoi diventare un bravo archeologo… devi uscire dalla biblioteca!”
(da Il regno del
teschio di cristallo)
Purtroppo è la pura
verità: solo l’esperienza continuativa, in prima linea, sul campo,
crea quelle competenze scientifiche necessarie all’esecuzione di un
corretto scavo stratigrafico e alla sua corretta documentazione
(tornando ai medici, qualcuno si farebbe operare da un medico che
esegue solo una o due operazioni all’anno?). Ci sono scavi
archeologici universitari che vanno avanti da decenni, a volte si
tratta di più Università su uno stesso sito (come Pompei, Nora,
Ostia Antica, ecc.), con tempi di pubblicazione biblici e senza che
ci sia un minimo di confronto serio tra le parti.
A questo stato delle cose
si aggiunge il fatto che l’Università italiana ha conosciuto negli
ultimi vent’anni la vergogna dei “dottorati senza borsa”: si
tratta di ricercatori che vincono un concorso e non solo non ricevono
niente per la loro ricerca, ma devono pagare in più le tasse
universitarie, a cui si aggiungono tutte le spese extra che sono
ovviamente a loro carico. Dovrebbero chiamarli “dottorati a
pagamento” non “dottorati senza borsa”: senza contare il fatto
che la contrapposizione tra ricercatori “con borsa” e ricercatori
“senza borsa/a pagamento” ha favorito e accresciuto il triste
fenomeno della manipolazione dei concorsi di dottorato da parte dei
docenti allo scopo di favorire ciascuno i propri studenti “protetti”.
5) Si continua a dire
ormai da anni che una delle soluzioni al problema della tutela e
conservazione dei Beni Culturali Archeologici e Architettonici è la
“manutenzione programmata” dei Beni suddetti. Da Sud a Nord,
dall'anfiteatro di Lecce all'abitato di Castelsperio (VA), sono
migliaia i siti archeologici che rischiano di andare incontro a una
lenta e silenziosa distruzione. Quest'ambito darebbe lavoro a
centinaia di archeologici e restauratori in tutto il paese. Quando si
passerà dai convegni accademici ai protocolli d’intesa, a un
disegno di legge nazionale, alle circolari ministeriali, ecc. fino
alle pratiche concrete?
6) Perché ci sono siti
archeologici già musealizzati anni or sono, che non solo non sono
soggetti a nessun tipo di manutenzione ordinaria o programmata, ma
sono addirittura completamente abbandonati all’incuria
nell’indifferenza/nell’impotenza delle Soprintendenze, della
Regioni e degli Enti locali (ne possiamo citare tanti: per es. le
grotte Paglicci presso Rignano Garganico nel Gargano2,
la necropoli di San Giovenale a Blera (VT)3,
la necropoli di Castel d'Asso (VT)4,
i mosaici di Ostia antica abbandonati5,
la necropoli di Tuxiveddu a Cagliari6,
il sito di Luceria in provincia di Reggio Emilia7,
la città romana di Luni presso La Spezia8,
le case romane dietro la Biblioteca Mai a Bergamo Alta9,
ecc.10)?
Questi siti sono una
miniera d’oro, sono lì pronti per essere valorizzati e…
aspettano.
7) Per non parlare poi
dell’apice dello scempio. Che fine hanno fatto, appunto, quei siti
archeologici che, dopo essere stati danneggiati per cause naturali o
umane, dovevano essere recuperati e protetti dal rischio di altre
distruzioni e che, invece, sono scomparsi, come se nulla fosse (ad
es. il già citato abitato dell'età del bronzo di Nola, definito a
suo tempo la “Pompei” dell'età del bronzo11,
prima allagato12
e poi interrato13,
oppure il parco archeologico di Sibari (CS) allagato14
e ancora oggi ricoperto dal fango15
)?
Che i siti archeologici
siano stati oggetto di depredazioni e distruzioni nel passato è cosa
risaputa e scontata: per esempio, ricordo benissimo una lezione
universitaria riguardo a un sito rinvenuto vicino a Hazleton, già
depredato in antico, lezione che conclusi dicendo:
“E' il destino
dell'archeologo quello di vedere frustrati anni di lavoro e di
ricerche. Cercate di ricordarvelo.”
(da I predatori
dell'arca perduta)
Ma un conto sono le
depredazioni in antico, un conto sono le distruzioni contemporanee a
causa dell'incuria, dell'ignoranza e della speculazione edilizia:
tutto ciò è una violenza inaccettabile.
8) Perché, a fronte di
grandi sforzi di singoli privati che valorizzano i Beni Archeologici,
le grandi opere come la Salerno-Reggio Calabria, la superstrada per
Sibari, gli ampiliamenti delle autostrade nel Centro e Nord d’Italia
(A1 e A4 in particolare), i vari metanoddotti, la BREBEMI, la TAV, la
PEDEMONTANA, ecc. non prevedono sin dall’inizio un investimento non
solo per le assistenze agli scavi (realizzate, purtroppo, con gare
d’appalto al massimo ribasso), ma anche per lo studio dei
materiali, la pubblicazione degli scavi, le mostre itineranti dei
pezzi più significativi e, infine, uno spazio per esposizioni
permanenti dei reperti archeologici rinvenuti durante le assistenze?
Le gare d’appalto a
massimo ribasso sono un meccanismo perverso, devono essere eliminate
e sostituite con gare basate sulla “media mediata” e su una
graduatoria finale dove deve pesare il curriculum della ditta e di
ogni singolo archeologo assunto, in modo tale che le ditte siano
incentivate a tenersi i professionisti migliori e non a liquidarli
per avere “carne fresca e giovane” da far lavorare sottopagata.
Le “Grandi Opere”
sono oggi fucine di sfruttamento del lavoro: e anche sull’altro
fronte, quello del post-scavo, invece di un investimento ampio e
sistematico che dall’indagine archeologica porti alla
valorizzazione, si assiste, purtroppo, a piccole pubblicazioni di
singoli scavi a fronte di centinaia di siti individuati, scavati e
documentati (fatta eccezione per pochi reperti, quasi tutto rimane
sepolto negli archivi e nei magazzini delle Soprintendenze).
9) Perché le notizie
degli scavi archeologici vengono pubblicate in formato molto ridotto
(poche pagine, poche planimetrie, spesso su scale di difficile
lettura, e poche foto) su riviste cartacee, spesso a pagamento (si
veda per es. il Notiziario della Toscana16),
a volte con dei prezzi improponibili, quando chi scrive gli articoli,
spesso lo fa gratuitamente (si tratta di riassunti della relazione
finale di scavo)?
In alcuni casi, come ad
es. per la Lombardia, si continuano a pubblicare con grande ritardi
(anche superiori ai tre anni) appunto questi Notiziari, che sono
gratuiti, ma a tiratura limitata e che presentano, comunque, articoli
molto brevi, quando molti ritrovamenti archeologici meriterebbero per
la loro importanza uno spazio ben più ampio.
In entrambi le situazioni
si potrebbero pubblicare online più riviste, a livello sempre
regionale, in formato pdf, a colori, a basso costo di gestione e
senza nessun problema di spazio. L'attuale sito www.fastionline.org
ripropone spesso i medesimi articoli già editi in cartaceo (a
discrezione degli autori), a volte poco più espansi: solo negli
ultimi due anni fornisce l'opportunità di realizzare qualcosa di
nuovo, una rivista online di per sé accreditata, ma siamo ancora a
una fase embrionale...
Una pubblicazione
archeologica su un qualsiasi sito per essere considerata
“scientifica” deve contenere almeno quattro cose: le planimetrie
di fase, il diagramma dei rapporti stratigrafici (Matrix), l'elenco
delle unità stratigrafiche (UUSS) rinvenute, quindi un articolo che
riassuma le principali sequenze archeologiche17.
Ma se di tutto questo rimane solo un breve testo con qualche foto e
qualche pianta poco leggibile, l'articolo diventa divulgativo anche
se si definisce scientifico, perché deve essere accettato con un
atto di fiducia senza nessuna possibilità di verifica (a meno che
non si abbiano il tempo e la possibilità di effettuare una difficile
ricerca negli archivi delle Soprintendenze).
10) Infine, un ultimo
quesito. Perché le tesi di laurea, di specializzazione e di
dottorato non possono essere pubblicate online su siti accreditati
dal Ministero o dalle Università e valere come pubblicazioni a tutti
effetti (anche ai fini dei concorsi pubblici), invece di aspettare
che qualche caritatevole professore si degni di ospitare un estratto
breve su qualche rivista accademica che circola solo all'interno
delle biblioteche specializzate?
L'immediata pubblicazione
delle tesi eviterebbe da un lato il rischio di affrontare argomenti
simili in università distante senza un reale confronto con gli studi
pregressi e, dall'altro, la spiacevole usanza da parte di alcuni
professori disonesti di “usare” le tesi degli studenti per
scrivere articoli a proprio nome. Anche questa riforma sarebbe a
costi limitati e a benefici immensi per l'avanzamento della ricerca.
Ecco, ho finito. Vi
ringrazio per aver letto questa mia lunga lettera e vorrei lasciarvi
con un ultima riflessione: nella mia lunga carriera mi sono sentito
chiedere spesso a cosa serva la cultura e, in particolare, lo studio
della storia, dell'arte, dell'archeologia, ecc.
La risposta migliore,
secondo me, fu data da mio padre, molto tempo fa, in una calda
giornata del 1936, quando insieme stavamo scappando dai nazisti e
precipitammo con un piccolo aereo: eravamo ormai perduti di fronte a
un altro caccia nemico pronto a colpirci dall'alto, quando mio padre
aprì all'improvviso l'ombrello che aveva con sé e spaventò uno
stormo di uccelli a terra, i quali si alzarono di colpo in volo
colpendo l'aereo nemico. Fiero della mossa che ci salvò la vita, si
avvicinò e mi disse:
“Improvvisamente mi
sono ricordato il mio Carlo Magno: Lasciate che i miei eserciti siano
le rocce, gli alberi e i pennuti del cielo!”
La
cultura appunto...
(da L’ultima
crociata)
E qui termino.
Spero di aver dato ancora
un ultimo contributo alla causa dell'Archeologia e, pertanto, non mi
rimane che augurare al vostro paese di ritrovare lo splendore di un
tempo e la via della rinascita civile.
Cordialmente,
Dr. Herny Walton Jr.
“Indiana” Jones
10Si
veda per un ulteriore disamina delle altra “Pompei a rischio” in
Italia l'articolo di Manlio Lilli,del 04 marzo 2014:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/04/cemento-degrado-e-speculazione-da-nord-a-sud-tutte-le-pompei-ditalia/865169/
11G.
A. Stella, S. Rizzo, Nelle mani dei barbari e dei cannibali.
Necropoli, chiese, regge, antichi borghi: mille tesori a rischio,
in Vandali. Assalto alle bellezze d'Italia, Milano 2011, pp.
45-61.
14http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/26/sibari-sommerso-parco-archeologico-ora-rischia-scomparire-per-sempre/480044/
;
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/000/822/Documentazione_consegnata_dal_Direttore_regionale_per_i_beni_culturali_e_paesaggistici_della_Calabria.pdf
17L'unica
pubblicazione che presenta tutte queste caratteristiche è
costituita dai volumi editi sugli scavi del sito di
Calvatone/Bedriacum (CR):
Bedriacum. Ricerche archeologiche a Calvatone,
a cura di L. Passi Pitcher, Milano 1996.