lunedì 16 giugno 2014

Gentili visitatori,

siamo un gruppo di archeologi professionisti, che operano sul campo da molti anni, chi nei cantieri, chi nei musei e nelle università, sia in Italia che all’estero: ci siamo uniti perché vogliamo far conoscere all’opinione pubblica il contenuto di una lettera importante scritta dal Dr. Henry Walton Jr. Jones, archeologo e docente universitario di fama mondiale .
Questa lettera, molto sofferta, è un appello accorato che vuole sollevare il problema della tutela dei Beni Culturali e in particolare dei Beni Archeologici in Italia: il suo contenuto costituisce il testo fondativo di un movimento “Salviamo l'Archeologia”, che vuole essere aperto al contributo di tutti.
Vi preghiamo oltre che di leggere questa lettera, di pubblicarla online sul vostro sito e di diffonderla il più possibile.

Cordialmente,

Comitato promotore “Salviamo l’Archeologia”

Qui di seguito la lettera


Al Presidente della Repubblica,
ai politici in Parlamento e al Governo,
ai funzionari di Stato delle Soprintendenze
e, infine, a tutti i cittadini
di questo meraviglioso paese che è l'Italia


Mi chiamo Herny Walton Jr. Jones, sono un archeologo e sono stato per decenni professore di archeologia presso diverse Università degli Stati Uniti e dell'Europa1.

Io ormai sono molto, molto vecchio, ho più di cento anni, sarà forse grazie all'elisir di lunga vita che da giovane ho bevuto direttamente dalla coppa del Santo Graal: posso dirvi che ho visto e scoperto cose meravigliose e che il mio mestiere ha conosciuto enormi cambiamenti dagli anni '30 del secolo scorso a oggi, ma con tutti gli errori e i difetti, è stato sempre esercitato nel rispetto e nell'amore per l'Archeologia in ogni parte del pianeta.

Oggi, però, la situazione in Italia è diventata così disastrosa, che non mi sono sentito di tacere oltre: sarebbe troppo lungo e noioso scrivere un'analisi dettagliata della situazione, preferisco porre a tutti voi alcune domande, per la precisione dieci.
Se si rispondesse con chiarezza e determinazione a ognuno di questi dieci quesiti, si riuscirebbe di sicuro a fermare il disastro e lo scempio che stanno erodendo quotidianamente le più grandi meraviglie e ricchezze del vostro paese.

1) Come può lo Stato Italiano pretendere di tutelare i Beni Culturali, sia Archeologici che Architettonici e Artistici, se non tutela i lavoratori, in particolare archeologi e restauratori, con un contratto nazionale collettivo che deve valere per tutte le ditte, vietando finti subappalti con P.IVA precarie, finti contratti a progetto, finte prestazioni occasionali? Come si fa a pretendere che da soli gli ispettori della Soprintendenza tutelino territori vastissimi senza il supporto di un corpo esperto di lavoratori professionisti, preparati, formati, e, ribadisco, tutelati nei contratti?

Se non si tutelano i lavoratori dei Beni Culturali, come si fa per esempio con gli insegnanti e i medici (tra l'altro ultimamente non se la passano tanto bene neanche loro), non si possono poi piangere lacrime di coccodrillo quando crolla un muro a Pompei o quando un sito gioiello come l’abitato dell’età del bronzo di Nola in Campania finisce sotto l’acqua… per sempre.

2) Considerato che lo scavo archeologico è distruttivo e irripetibile, come è possibile che molte ditte archeologiche, soprattutto al Centro e al Sud d’Italia, affidino il lavoro concreto dello scavo a operai, pochi dei quali si possono veramente definire specializzati, accanto a un numero esiguo di archeologi che stanno a guardare e documentano?

È solo scavando direttamente che ci si rende conto di tutte le caratteristiche della stratigrafia. Nelle ditte più serie, attive soprattutto al Centro e al Nord d'Italia, lavorano solo archeologi assistiti da pochissimi operai e così accade in tutti gli altri paesi europei.
L’archeologo è come un medico chirurgo: chi accetterebbe di farsi operare da un infermiere, seppur bravo, anziché da un medico? Ora, io sono molto vecchio, ma nella mia vita lavorativa sono sempre stato sempre in prima linea e, quando c’erano degli operai, io lavoravo con loro e più di loro. È così che ho trovato e messo in luce, per esempio, il sito noto come “il Pozzo delle anime” dov'era custodita l'Arca dell'Alleanza.


(da I predatori dell'arca perduta)

L’operaio può aiutare, come appunto fa un infermiere accanto al chirurgo, ma non può sostituire l’archeologo. Addirittura accade che in alcuni bellissimi siti archeologici la riserva di manodopera sia costituita da appassionati volontari: il volontariato è sicuramente importante, specie per la valorizzazione locale dei Beni Archeologici, ma va ribadito che non può sostituire il lavoro dei professionisti.

3) A fronte dell’impegno di tantissimi colleghi che mettono una passione incredibile nella tutela dei Beni Culturali, come si può tollerare che i Musei Archeologici siano sottodimensionati, spesso con un solo Direttore, a volte sottoposto anch’esso a contratti precari, e con una rete di collaboratori esperti, che, però, lavorano come semivolontari, pagati come guide a ore?

L’attività di promozione didattica e di valorizzazione richiederebbe personale specializzato: è stato già più volte dimostrato da diversi istituti e enti di ricerca che investire correttamente nei Beni Culturali crea a breve e medio termine un circolo economico virtuoso. Pensate a cosa potrebbe significare la realizzazione di una collaborazione organica e continuativa tra i Musei da un lato e dall'altro le scuole di tutti gli ordini, le università, le compagnie teatrali, le associazioni culturali, le agenzie turistiche, gli enti locali, ecc.

4) Se le prime tre domande riguardano il mondo del lavoro, non si può tralasciare il mondo universitario (anche se qui di lavoro ce n’è poco). Ma come è possibile che, a fronte soltanto di pochi professori e pochi collaboratori universitari con una lunga esperienza di indagini archeologiche sul campo, vengano affidate dallo Stato concessioni di scavo a équipes universitarie che scavano mediamente 1 o 2 mesi all'anno (compresa la settimana per aprire il cantiere e l'ultima per chiuderla)? Che tipo di competenza scientifica nell'ambito dello scavo stratigrafico hanno queste persone? Perché non si obbligano le Università ad avvalersi delle competenze scientifiche di chi sullo scavo opera in prima linea, 365 giorni all'anno?

A questo proposito, una volta mi è capitato di rispondere così alla domanda di uno studente che mi chiedeva (in un momento un po' inopportuno visto che mi stavo alzando da terra dopo un folle inseguimento in moto nell'Università) un parere in merito a un saggio sull'etica ambientale:
Leggiti Gordon Childe sul diffusionismo. Ha trascorso tutta la vita sul campo. E se vuoi diventare un bravo archeologo… devi uscire dalla biblioteca!”


(da Il regno del teschio di cristallo)

Purtroppo è la pura verità: solo l’esperienza continuativa, in prima linea, sul campo, crea quelle competenze scientifiche necessarie all’esecuzione di un corretto scavo stratigrafico e alla sua corretta documentazione (tornando ai medici, qualcuno si farebbe operare da un medico che esegue solo una o due operazioni all’anno?). Ci sono scavi archeologici universitari che vanno avanti da decenni, a volte si tratta di più Università su uno stesso sito (come Pompei, Nora, Ostia Antica, ecc.), con tempi di pubblicazione biblici e senza che ci sia un minimo di confronto serio tra le parti.

A questo stato delle cose si aggiunge il fatto che l’Università italiana ha conosciuto negli ultimi vent’anni la vergogna dei “dottorati senza borsa”: si tratta di ricercatori che vincono un concorso e non solo non ricevono niente per la loro ricerca, ma devono pagare in più le tasse universitarie, a cui si aggiungono tutte le spese extra che sono ovviamente a loro carico. Dovrebbero chiamarli “dottorati a pagamento” non “dottorati senza borsa”: senza contare il fatto che la contrapposizione tra ricercatori “con borsa” e ricercatori “senza borsa/a pagamento” ha favorito e accresciuto il triste fenomeno della manipolazione dei concorsi di dottorato da parte dei docenti allo scopo di favorire ciascuno i propri studenti “protetti”.

5) Si continua a dire ormai da anni che una delle soluzioni al problema della tutela e conservazione dei Beni Culturali Archeologici e Architettonici è la “manutenzione programmata” dei Beni suddetti. Da Sud a Nord, dall'anfiteatro di Lecce all'abitato di Castelsperio (VA), sono migliaia i siti archeologici che rischiano di andare incontro a una lenta e silenziosa distruzione. Quest'ambito darebbe lavoro a centinaia di archeologici e restauratori in tutto il paese. Quando si passerà dai convegni accademici ai protocolli d’intesa, a un disegno di legge nazionale, alle circolari ministeriali, ecc. fino alle pratiche concrete?


6) Perché ci sono siti archeologici già musealizzati anni or sono, che non solo non sono soggetti a nessun tipo di manutenzione ordinaria o programmata, ma sono addirittura completamente abbandonati all’incuria nell’indifferenza/nell’impotenza delle Soprintendenze, della Regioni e degli Enti locali (ne possiamo citare tanti: per es. le grotte Paglicci presso Rignano Garganico nel Gargano2, la necropoli di San Giovenale a Blera (VT)3, la necropoli di Castel d'Asso (VT)4, i mosaici di Ostia antica abbandonati5, la necropoli di Tuxiveddu a Cagliari6, il sito di Luceria in provincia di Reggio Emilia7, la città romana di Luni presso La Spezia8, le case romane dietro la Biblioteca Mai a Bergamo Alta9, ecc.10)?

Questi siti sono una miniera d’oro, sono lì pronti per essere valorizzati e… aspettano.

7) Per non parlare poi dell’apice dello scempio. Che fine hanno fatto, appunto, quei siti archeologici che, dopo essere stati danneggiati per cause naturali o umane, dovevano essere recuperati e protetti dal rischio di altre distruzioni e che, invece, sono scomparsi, come se nulla fosse (ad es. il già citato abitato dell'età del bronzo di Nola, definito a suo tempo la “Pompei” dell'età del bronzo11, prima allagato12 e poi interrato13, oppure il parco archeologico di Sibari (CS) allagato14 e ancora oggi ricoperto dal fango15 )?

Che i siti archeologici siano stati oggetto di depredazioni e distruzioni nel passato è cosa risaputa e scontata: per esempio, ricordo benissimo una lezione universitaria riguardo a un sito rinvenuto vicino a Hazleton, già depredato in antico, lezione che conclusi dicendo:
E' il destino dell'archeologo quello di vedere frustrati anni di lavoro e di ricerche. Cercate di ricordarvelo.”


(da I predatori dell'arca perduta)

Ma un conto sono le depredazioni in antico, un conto sono le distruzioni contemporanee a causa dell'incuria, dell'ignoranza e della speculazione edilizia: tutto ciò è una violenza inaccettabile.

8) Perché, a fronte di grandi sforzi di singoli privati che valorizzano i Beni Archeologici, le grandi opere come la Salerno-Reggio Calabria, la superstrada per Sibari, gli ampiliamenti delle autostrade nel Centro e Nord d’Italia (A1 e A4 in particolare), i vari metanoddotti, la BREBEMI, la TAV, la PEDEMONTANA, ecc. non prevedono sin dall’inizio un investimento non solo per le assistenze agli scavi (realizzate, purtroppo, con gare d’appalto al massimo ribasso), ma anche per lo studio dei materiali, la pubblicazione degli scavi, le mostre itineranti dei pezzi più significativi e, infine, uno spazio per esposizioni permanenti dei reperti archeologici rinvenuti durante le assistenze?

Le gare d’appalto a massimo ribasso sono un meccanismo perverso, devono essere eliminate e sostituite con gare basate sulla “media mediata” e su una graduatoria finale dove deve pesare il curriculum della ditta e di ogni singolo archeologo assunto, in modo tale che le ditte siano incentivate a tenersi i professionisti migliori e non a liquidarli per avere “carne fresca e giovane” da far lavorare sottopagata.

Le “Grandi Opere” sono oggi fucine di sfruttamento del lavoro: e anche sull’altro fronte, quello del post-scavo, invece di un investimento ampio e sistematico che dall’indagine archeologica porti alla valorizzazione, si assiste, purtroppo, a piccole pubblicazioni di singoli scavi a fronte di centinaia di siti individuati, scavati e documentati (fatta eccezione per pochi reperti, quasi tutto rimane sepolto negli archivi e nei magazzini delle Soprintendenze).

9) Perché le notizie degli scavi archeologici vengono pubblicate in formato molto ridotto (poche pagine, poche planimetrie, spesso su scale di difficile lettura, e poche foto) su riviste cartacee, spesso a pagamento (si veda per es. il Notiziario della Toscana16), a volte con dei prezzi improponibili, quando chi scrive gli articoli, spesso lo fa gratuitamente (si tratta di riassunti della relazione finale di scavo)?
In alcuni casi, come ad es. per la Lombardia, si continuano a pubblicare con grande ritardi (anche superiori ai tre anni) appunto questi Notiziari, che sono gratuiti, ma a tiratura limitata e che presentano, comunque, articoli molto brevi, quando molti ritrovamenti archeologici meriterebbero per la loro importanza uno spazio ben più ampio.

In entrambi le situazioni si potrebbero pubblicare online più riviste, a livello sempre regionale, in formato pdf, a colori, a basso costo di gestione e senza nessun problema di spazio. L'attuale sito www.fastionline.org ripropone spesso i medesimi articoli già editi in cartaceo (a discrezione degli autori), a volte poco più espansi: solo negli ultimi due anni fornisce l'opportunità di realizzare qualcosa di nuovo, una rivista online di per sé accreditata, ma siamo ancora a una fase embrionale...

Una pubblicazione archeologica su un qualsiasi sito per essere considerata “scientifica” deve contenere almeno quattro cose: le planimetrie di fase, il diagramma dei rapporti stratigrafici (Matrix), l'elenco delle unità stratigrafiche (UUSS) rinvenute, quindi un articolo che riassuma le principali sequenze archeologiche17. Ma se di tutto questo rimane solo un breve testo con qualche foto e qualche pianta poco leggibile, l'articolo diventa divulgativo anche se si definisce scientifico, perché deve essere accettato con un atto di fiducia senza nessuna possibilità di verifica (a meno che non si abbiano il tempo e la possibilità di effettuare una difficile ricerca negli archivi delle Soprintendenze).

10) Infine, un ultimo quesito. Perché le tesi di laurea, di specializzazione e di dottorato non possono essere pubblicate online su siti accreditati dal Ministero o dalle Università e valere come pubblicazioni a tutti effetti (anche ai fini dei concorsi pubblici), invece di aspettare che qualche caritatevole professore si degni di ospitare un estratto breve su qualche rivista accademica che circola solo all'interno delle biblioteche specializzate?

L'immediata pubblicazione delle tesi eviterebbe da un lato il rischio di affrontare argomenti simili in università distante senza un reale confronto con gli studi pregressi e, dall'altro, la spiacevole usanza da parte di alcuni professori disonesti di “usare” le tesi degli studenti per scrivere articoli a proprio nome. Anche questa riforma sarebbe a costi limitati e a benefici immensi per l'avanzamento della ricerca.

Ecco, ho finito. Vi ringrazio per aver letto questa mia lunga lettera e vorrei lasciarvi con un ultima riflessione: nella mia lunga carriera mi sono sentito chiedere spesso a cosa serva la cultura e, in particolare, lo studio della storia, dell'arte, dell'archeologia, ecc.
La risposta migliore, secondo me, fu data da mio padre, molto tempo fa, in una calda giornata del 1936, quando insieme stavamo scappando dai nazisti e precipitammo con un piccolo aereo: eravamo ormai perduti di fronte a un altro caccia nemico pronto a colpirci dall'alto, quando mio padre aprì all'improvviso l'ombrello che aveva con sé e spaventò uno stormo di uccelli a terra, i quali si alzarono di colpo in volo colpendo l'aereo nemico. Fiero della mossa che ci salvò la vita, si avvicinò e mi disse:
Improvvisamente mi sono ricordato il mio Carlo Magno: Lasciate che i miei eserciti siano le rocce, gli alberi e i pennuti del cielo!”
La cultura appunto...


(da L’ultima crociata)

E qui termino.
Spero di aver dato ancora un ultimo contributo alla causa dell'Archeologia e, pertanto, non mi rimane che augurare al vostro paese di ritrovare lo splendore di un tempo e la via della rinascita civile.

Cordialmente,

Dr. Herny Walton Jr. “Indiana” Jones



10Si veda per un ulteriore disamina delle altra “Pompei a rischio” in Italia l'articolo di Manlio Lilli,del 04 marzo 2014: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/04/cemento-degrado-e-speculazione-da-nord-a-sud-tutte-le-pompei-ditalia/865169/
11G. A. Stella, S. Rizzo, Nelle mani dei barbari e dei cannibali. Necropoli, chiese, regge, antichi borghi: mille tesori a rischio, in Vandali. Assalto alle bellezze d'Italia, Milano 2011, pp. 45-61.
17L'unica pubblicazione che presenta tutte queste caratteristiche è costituita dai volumi editi sugli scavi del sito di Calvatone/Bedriacum (CR): Bedriacum. Ricerche archeologiche a Calvatone, a cura di L. Passi Pitcher, Milano 1996.